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La guerra e la propaganda bellica, la questione ecologica, il capitalismo nella sua declinazione odierna hanno molti comuni denominatori e molti elementi in comune. Riguardo a questi ultimi ve n’é uno, mai troppo approfondito, che riguarda la vita di ciascuno di noi: la concezione del ‘tempo’ nel liberismo odierno.
Come si sa, il capitalismo non concepisce assolutamente lo scorrere continuo del tempo. Il tempo del capitale è limitato a quello stabilito dalle logiche di bilancio: è il ‘breve termine’ della regola del profitto incessante a imporre questo e il tempo, quindi, non esiste se scorre al di là di quello previsto dai bilanci.
Questa è la realtà temporale, quella necessaria e sufficiente del capitale, in cui stiamo vivendo. Oltre ciò che è valutabile nei bilanci null’altro è ‘conteggiabile’ e, quindi, esistente; tutto quello che si colloca temporalmente al di fuori dei tempi della possibilità previsionale non viene minimamente considerato, non essendo parte della materialità del bilancio.
Questo si potrebbe affrontare con un’alzata di spalle se il principio del ‘profitto incessante a breve termine’ non fosse fondante il nostro modello economico, quindi la regola della nostra vita. Questo concetto di tempo è quello in cui dobbiamo vivere.
Siamo costretti a vivere nel tempo scandito dal capitale e dai padroni, ossia l’eterno presente del bilancio e delle previsioni di bilancio. Non solo, ma talvolta viene negato anche il tempo presente, quando questo comporti conseguenze di costi a lungo termine non stimati, come la devastazione dell’ambiente in cui viviamo, che vengono in toto scaricati assieme alle responsabilità sulla collettività. Per quanto riguarda il problema ecologico, infatti, l’unica cosa che il capitale e i suoi portavoce fanno è vederci una nuova occasione di profitto, sempre incessante e a breve termine nella commercializzazione di energie rinnovabili, ma mai considerando di assumersi i costi e le responsabilità dei difetti previsionali. L’aggettivo incessante, poi, significa che si debba essere sempre più ‘consumatori’ di beni o ‘clienti’ di
servizi e si debba essere ‘risorse umane’ che producono sempre di più (tutte definizionidate all’individuo in funzione capitalista, l’unica funzione necessaria. L’individuo come persona non esiste).
In questo quadro, la perpetuità del profitto con la restrizione del paradigma temporale porta anche ad una negazione del tempo inteso come tempo di crescita e maturazione individuale e collettivo. È negato dalla frammentazione e dalla precarietà del lavoro e dal soffocamento che queste impongono, senza possibilità di pensare e programmare sia un futuro, sia la vita sociale, base della costruzione della collettività.
In alcuni casi, in certe aziende il tempo libero è interno all’azienda stessa, perché aumenta il rendimento. In certe realtà, dunque, il tempo libero di ciascuno è gestito dalle aziende in funzione della produttività.
Tutto ciò che non è produzione ‘per il Pil’ ,’per i consumi’, ‘per le aziende’ è inutile. Il tempo libero, quando non è quello dei padroni, è tempo tolto alla produzione. Il tempo ‘libero’ individuale diventa ‘perdita di tempo’.
I Padroni sono anche padroni del tempo e ci dicono “Non avrai altro tempo all’infuori del mio”. Anche nella propaganda bellica odierna, il tempo ricopre un ruolo fondamentale. Viene negato il passato, impedendo di ricorrere al ‘prima’ per la ricerca del ‘perché’ necessario ad individuare e studiare le radici del conflitto in Ucraina e richiudendo il tutto nella gabbia temporale dei termini di “aggressori e aggrediti”, categorie di eterno presente cristallizzato senza alcuna possibilità di scampo.
È negato anche il futuro, perché viene eliminata la possibilità di scelta con il paradigma del ‘non ci sono alternative’, come se si parlasse di un evento naturale quale potrebbe essere un terremoto indipendente dalla volontà umana.
Sarebbe il caso di pensare a riprenderci il nostro tempo prima che sia tardi.
📌 06.11.2022 Gianluca Pinto
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